L’evoluzione della nautica dopo la crisi

Su sollecitazione di Franco Michienzi, provo a dare un mio modesto contributo su quello che potrebbe essere l’evoluzione del mercato nautico conseguente a questa terrificante crisi che ha investito l’economia mondiale nel 2008/09.

Michienzi, nel porre la questione che stiamo dibattendo, prende spunto dalle affermazioni di Paolo Vitelli che sostiene che per uscire dalla crisi servono innovazione tecnologica e organizzazione industriale.
Naturalmente sono d’accordo con Vitelli su questo punto anche se, detto così,  mi pare che il suo approccio sia un po’ troppo semplicistico e scontato.

A questo proposito, per esempio, mi chiedo e vi chiedo; In questo scenario di estrema razionalizzazione cosa ne sarà dell’artigianato inteso come “arte applicata” che tanto ha contribuito a qualificare e rendere unico il nostro prodotto nel mondo ?  Dovrà essere relegato nella riserva indiana dei musei o delle  “supernicchie”, ?
Per comprende la problematica che ci troviamo di fronte non basta infatti utilizzare il classico parallelo con l’industria automobilistica alla quale, in qualche modo, il discorso di Vitelli fa riferimento e che, coerentemente, il suo gruppo persegue.

Se ci soffermiamo su questo punto vediamo facilmente che, fra le tante, una sostanziale differenza con l’industria dell’auto sta nel fatto  che, in questo momento, nel comparto nautico italiano, convivono molteplici approcci e innumerevoli tipologie di aziende: dalla microscopica al grande gruppo ipertrofico.
Ciò nonostante, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, questa eterogenea  moltitudine di produttori, non ha prodotto quasi nulla di realmente nuovo; anzi si è affermato un pressoché totale conformismo e abbiamo assistito alla omologazione di pochissime tipologie di imbarcazioni che hanno invaso il mercato ad ondate, secondo la moda del momento.

Nello scenario pre-crisi, con una domanda in crescita costante e quasi indistinta (tutti vendevano di tutto), con l’afflusso di nuove figure di clienti senza una cultura nautica approfondita ma con (vera o presunta) larga disponibilità di denaro, è ovvio che gli stimoli ad innovare siano stati molto deboli e, quel poco di realmente nuovo è stato prodotto dalla fantasia di qualche “Archimede pitagorico” che, per fortuna, nel nostro paese ancora prolifica. Il resto è scimmiottatura senza futuro che però ha generato confusione tecnica ed economica. In sintesi; GRANDE POLVERIZZAZIONE PRODUTTIVA E PRODOTTI SEMPRE PIU’ SIMILI E BANALI.

Se questa analisi è corretta, ha sicuramente ragione Vitelli nel sostenere che le grandi aziende (che riusciranno a sopravvivere e consolidarsi nel mercato globale) dovranno recuperare questo gap di progettualità e innovazione che, al tempo stesso sarà causa ed effetto del loro successo

In questo scenario però, il rischio che intravedo è che, pressati dalla logica stringente del recupero della  marginalità di bilancio, queste grandi aziende, divenute egemoni sul mercato, si lascino tentare dalla ricerca finalizzata ancora una volta al  risultato immediato, dalla novità cotta e mangiata ad uso e consumo del marketing aziendale piuttosto che dalla ricerca applicata, dall’esercizio di stile piuttosto che dal design o dall’architettura navale.

Pur condividendo la necessità di “sfoltire” il comparto produttivo, il mio timore e che questa sacrosanta spinta alla razionalizzazione, ci faccia perdere definitivamente quella varietà di generi e di proposte, funzionali agli specifici usi e ai gusti degli utenti nautici più avveduti che, consapevolmente, scelgono barche diverse in momenti diversi e per scopi e modalità di utilizzo diversi. Questa è la vera ricchezza e questo genera innovazione e cultura solide e durature.

A questo proposito vorrei soffermarmi su un ultimo aspetto che mi è particolarmente caro in quanto architetto; vale a dire la considerazione che, una barca non è e non sarà mai un semplice “prodotto” in senso economico e quindi commerciale, sia perché come “prodotto” è estremamente complesso e concentra in sé una grandissima quantità di componenti e di competenze eterogenei, sia perché per molti utenti appassionati è un “luogo” fisico e mentale.

Qualcosa cioè che simboleggia e sintetizza idee, stili di vita, sogni, speranze, emozioni, ecc…per molti è un rifugio dalla noia e dal grigiore per altri è un simbolo di potere ecc.. ecc.. Detto questo, se noi operatori della nautica, traumatizzati come siamo da questo brusco risveglio da quello che, fino ad ora anche noi consideravamo un paese dei balocchi, dove, tutto sommato, le regole dell’economia non erano poi così stringenti e potevano essere “interpretate”, di punto in bianco diventiamo dei puri e duri “industriali” attenti solo al risultato numerico a breve, perderemo definitivamente, con la capacità di sognare e fantasticare, la nostra forza e, come si dice: butteremo il bambino assieme all’acqua sporca.

Concludendo, quello che auspico è che lo scenario nautico italiano veda, nell’immediato futuro, l’aggregazione delle aziende con una forte personalità e caratterizzazione, in gruppi economici fortemente strutturati capaci di fornire i servizi generali come finanza, controllo gestionale, marketing, logistica, ecc.., lasciando però, e anzi potenziando, la differenziazione dei prodotti in funzione delle esigenze dell’utenza, su piattaforme strutturali ed impiantistiche comuni e con contenuti tecnologici sempre più elevati.

Se la nautica italiana imboccherà decisamente questa strada e metterà a fattor comune l’indiscussa eccellenza tecnica e progettuale fin qui espressa senza dispersioni e personalismi fini a se stessi, potrà mantenere la leadership mondiale anche nell’inevitabile nuovo contesto competitivo globale che vedrà la presenza sempre più massiccia ed agguerrita dei nuovi players emergenti dell’Asia e del terzo mondo.