Il ruolo del design

Anche qui una piccola premessa filologica: DESIGN= DISEGNO; dal punto di vista della genericità di significato una qualche stretta parentela con MOTORSAILER io ce la vedo. Diciamo che sono cugini. Anche in questo caso significa tutto e quindi…… molto poco. D’accordo che i significati più accreditati vanno da: progettazione; cioè “qualsiasi attività volta a definire preventivamente forme e contenuti di oggetti, processi, attività umane in genere”, a disegno industriale; ma in questo caso sarebbe corretto usare “industrial design” (ma vah!) a, infine: buon (o bel) disegno; secondo un’accezione colloquiale molto diffusa che tende ad includere nel vocabolo un giudizio qualitativo, di valore.
A prescindere da tutto questo è evidente che il design di un’imbarcazione non può essere considerato la mera definizione delle linee esterne della stessa (quello semmai si chiama styling) ma deve prendere in considerazione tutti gli aspetti dell’oggetto (prodotto ?) barca e ottimizzarli, armonizzandoli.
Se così è si capisce facilmente quanto complessa e interdisciplinare debba esser l’attività del designer nautico (che io preferisco chiamare “architetto navale”) e quanto sia delicata la sua funzione. Se lo paragoniamo a qualche specialista in malattie rare (la nautica lo è senz’altro anche se, negli ultimi vent’anni aveva preso la forma di una piccola epidemia) vediamo che il suo primo compito dovrà essere quello di effettuare una corretta diagnosi per poi somministrare la giusta cura per il cliente che quasi mai descrive in maniera corretta i suoi sintomi.
Fuor di metafora, in più di trent’anni di attività io non ho mai sentito un cliente dichiarare che la barca la usa solo due o tre settimane all’anno a poche miglia dalla costa affidandosi completamente al suo comandante come in realtà succede nel 70% dei casi. Se così fosse il consiglio ovvio ed onesto da dargli sarebbe quello di affittarla. (tendenza che la crisi dovrebbe favorire ma non è questa la sede per discutere di questo importantissimo tema). Diciamo che, fino a poco tempo fa tutti i diportisti pensavano di comprarsi la barca sulla quale avrebbero trascorso il resto della loro vita e con la quale affrontare Nettuno in persona.
Di conseguenza, anche il disegno e “lo stile” della barca, per essere appetibile, doveva rispecchiare e comunicare questa intenzione di avventura con forme aggressive o esasperatamente sportive o da “SUV” dei mari, ecc…
E qui arriviamo al vecchio, annoso tema della barca come status symbol o come “fine”, rappresentazione di se, del proprio Status sociale ed economico o semplicemente dei propri sogni. Barche che, al di là dell’aspetto inutilmente “cattivo” o “maestoso” comunque “distintivo”, hanno rappresentato uno spreco enorme di energie tecniche, progettuali ed economiche ma anche di spazi in mare e in banchina. Barche nate per viaggiare e spostarsi languono e invecchiano malinconicamente in qualche porto del Mediterraneo. Da costruttore (ex) dovrei gioire del fatto che ci siano armatori disposti, più o meno consapevolmente, a spendere ingenti somme di denaro per produrre cattedrali nelle quali non si celebrerà mai neanche una messa. Da convinto ambientalista costituzionalmente contrario a qualunque spreco invece mi urta profondamente questa evidente sproporzione fra risorse impiegate e risultati ottenuti.