È il marketing, bellezza!

Una sorta di convitato di pietra, che tende ad invertire i termini del problema, proponendo le domande in funzione delle risposte che l’industria si è già data in termini di prodotti ideati esclusivamente in rapporto alla massimizzazione di margini e allo sfruttamento di vantaggi differenziali che nulla hanno a che vedere con i reali “bisogni” dell’utente. Ecco allora l’enfatizzazione di caratteristiche e di necessità totalmente “virtuali” che hanno a che vedere con bisogni effimeri o, irrealizzabili e che, fino a ieri, avevano il compito fondamentale di indurre la necessità di cambiare barca esattamente come si cambiano le scarpe, l’auto o il cellulare. Per manifestare uno “status” e uno stile di vita. Per intenderci si pensi alla grandeur di certi saloni, al numero di piscine o “Jacuzzi” presenti a bordo di barche che, per quanto grandi, rimangono “sproporzionatamente” sottodimensionate rispetto alla quantità di accessori e gadget imbarcati.
Chiariamo: non c’è nessun dubbio che, in ogni epoca, l’uomo abbia profuso il meglio delle proprie energie fisiche ed intellettuali per produrre opere ciclopiche o semplicemente magnifiche per soddisfare unicamente esigenze “spirituali” senza rapporto con la loro utilità pratica e che questo slancio creativo abbia dato all’umanità tesori inestimabili, dalle Piramidi, al Pantheon, al Bucintoro ma credo che per l’argomento che stiamo trattando dovremmo volare un po’ più bassi e limitarci a immaginare: BUONE E BELLE BARCHE.
Non si creda però che questo complesso del Faraone abbia riguardato solo l’industria con le sue (legittime) esigenze di guadagno. Sono stati prima di tutto gli utenti ( e qui l’Italia fa sicuramente scuola) che, scambiando il mezzo con il fine, a causa della loro scarsissima competenza nautica, hanno raccontato bugie a se stessi e sentito la necessità di “proteggersi” dietro la tecnologia sostituendo la qualità con la quantità.