Genova 2012: Impressioni di uno spett…attore

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PASSEGGIANDO PER IL SALONE: IMPRESSIONI SUL SALONE DI GENOVA 2012 DI UNO SPETT/ATTORE

Chiariamo subito: non mi consola per niente partecipare da visitatore al 52° Salone Nautico dopo averne fatti quaranta da espositore. Certo ho una posizione più comoda ma, come dicono tutti gli attori che non calcano più le scene:(del pontile nel mio caso).

Quello che invece non mi manca è quella tremarella nelle gambe e quel ronzio nel cervello, per non parlare del groppo, che tutti gli anni in questo periodo, mi attanagliava lo stomaco. Lo stesso che tutti abbiamo provato nei momenti importanti della vita: La tesi di laurea, il matrimonio, il primo giorno di scuola..ecc… Quella sensazione da “ultima spiaggia”. Quel senso da “o la va o la spacca”. ecc..

Si perché il Salone Nautico di Genova era per me, come per la maggior parte dei miei colleghi, ogni anno, un appuntamento “vitale”. La sensazione era proprio quella di giocarsi tutto, tutti gli anni. Forse io esagero, forse sono troppo emotivo, forse altri, più freddi di me, vivevano serenamente la cosa o semplicemente, avevano pianificato meglio il loro business e non erano così Salone-dipendenti. Sicuramente le aziende più globali della mia, i “gruppi” che partecipavano, ogni anno a quindici o venti saloni nautici in tutto il mondo, che disponevano di reti di dealer che prenotavano con anticipo la produzione, ecc. avevano (hanno?) orizzonti e opportunità più ampie delle mie e rischi meno concentrati……e poi loro facevano LE RICERCHE DI MERCATO ! Adesso, quello che cercano è: “IL MERCATO” perché c’è da chiedersi: “esiste ancora un mercato nautico in Italia?”)

Intendiamoci, non è che ai Saloni Nautici a cui ho partecipato, si vendeva tutta la produzione o si falliva. Però sicuramente da lì iniziava l’anno nautico in Mediterraneo ( e oltre) e lì si capiva se avevi fatto le scelte giuste o no. In sostanza se eri nel mercato o fuori. Inoltre, per me e per tanti come me, l’incidenza dei costi del Salone era così elevata che se non vendevi un paio di barche non avevi coperto le spese. Quindi, quando andava bene, facevi il Salone per vendere le barche e…vendevi le barche per fare il Salone; si può dire che in genere il Salone era, dal punto di vista economico, fine a se stesso o a bilancio “0”.

Certamente però era anche il momento in cui si tentava di allargare gli orizzonti commerciali dell’azienda e si investiva sul futuro, era (avrebbe dovuto essere) un momento di intensa promozione del settore e di allargamento della cultura nautica . La famosa “vetrina” dell’eccellenza nautica e la rappresentazione della nostra leadership mondiale.

Questo era per UCINA e per pochi, se non pochissimi, rappresentanti del settore. Non lo è mai stato per la maggior parte degli imprenditori italiani che “badano al sodo” e non lo è mai stato certamente per la Fiera e per la città di Genova.; due entità quasi coincidenti per pochezza di idee e di visione strategica: Il termine FIERA nel senso più dispregiativo si attaglia perfettamente a questo ente cittadino e la città di Genova e quanto di più adatto per accogliere una FIERA….del bestiame. Ma, come dicevo prima: La barca va (andava) ..e tu lasciala andare….(a fondo!)

Poi è arrivata la Finanza! (Quella in giacca e cravatta perché quella in divisa c’è sempre stata) e al Salone ci si andava per vendere le aziende più che le barche.

Tornando agli stati d’animo la domanda che potrebbe sorgere spontanea è: Se negli anni “buoni”, di mercato in crescita vertiginosa che assorbiva quasi tutto e che perdonava tutti, c’era tutta questa tensione, figuriamoci come si devono sentire quei pochi superstiti che ancora si mettono il blazer e la cravatta di ordinanza e ben sbarbati, per dieci giorni, si presentano ai tornelli dell’ingresso espositori ?

Ebbene la sensazione che ho riportato passeggiando per le banchine semi-deserte e chiacchierando con i miei ex colleghi che costruiscono motoryachts, (con molti dei quali ho rapporti di amicizia tali da poter interpretarne i sentimenti oltre che i pensieri), non è tanto (o solo) di trepidazione per il futuro e determinazione a lottare, quanto di stupita rassegnazione. Li ho visti stupiti, come siamo tutti, del fatto che il centro del mondo si sia spostato così in fretta che noi (la maggior parte di noi) non siamo riusciti neanche ad avviare il motore per cercare di raggiungerlo e rassegnati al fatto che la fine ultima di questo ciclo economico (leggi chiusura totale delle aziende nautiche italiane)è ormai ineluttabile……..O NO?

Sicuramente lo è il Salone Nautico così come lo conosciamo e questo tipo di presentazione e di rappresentazione del prodotto barca. Nonostante il vistosissimo calo delle barche a motore presenti a me continua a venire in mente la battuta che un mio simpatico amico romagnolo ripete tutte le volte che lo invitano ad un matrimonio:
“MA CHI SE LA MANGERA’ TUTTA QUESTA ROBA ?”
Volendo in questo modo sottolineare l’assurdità dell’inutile abbondanza del menù e delle pietanze messe in tavola al solo scopo di palesare la munificenza delle famiglie degli sposi.
Qualcuno dirà legittimamente: “Ma cosa dici? Non hai visto che i padiglioni sono vuoti, che mancano quasi 400 espositori, che le barche esposte in marina sono ormeggiate così distanti che ogni due ce ne starebbe un’altra?” Tutto vero, com’è vero che ciò nonostante, le barche sono ancora smisuratamente abbondanti rispetto ai visitatori…….. per non parlare degli acquirenti !

Se poi consideriamo il parco barche invendute nei piazzali dei cantieri e l’usato semi-nuovo in mano alle finanziarie è evidente a tutti quale sia il livello di sovrabbondanza che ci troviamo fra le mani. Una quantità di “prodotti pronta consegna” che rendono praticamente inutile (e quindi perdente) mettere in produzione nuove barche. Quei pochi in Italia che davvero volessero acquistare una barca nuova la trovano bell’è pronta e il prezzo lo decidono loro.

AMEN? No, o almeno non proprio. Intanto ci sono i mercati esteri, più o meno emergenti. Come illustrano correttamente i dati Ucina nel 2012 quasi il 90% della produzione è stata esportata e, in certi segmenti , il 100% ; e non solo in Cina. Il prodotto italiano è apprezzato in tutto il mondo e anche dove hanno i nostri stessi problemi economici non hanno “la santa inquisizione fiscale” che mette al rogo chiunque, con i suoi soldi, pretenda di fare quello che gli piace. (In Italia il libero arbitrio pare sia concesso solo a chi amministra i soldi pubblici !)

E poi c’è la vela ! Concedetemi questa piccola rivalsa. Lo so che suona un po’ snob ma quei quattro gatti dei velisti sono ancora tutti lì. Forse ancora non comprano, forse stanno anche loro ridimensionando i loro sogni , ma sono tutti lì, continuano a frequentare i porti e, in certi momenti hanno anche affollato le banchine del Salone Nautico che quest’anno ha visto il “sorpasso” in termini di presenza espositiva della vela rispetto al motore…E dire che, alla vigilia si parlava di serrata della vela, di diaspora e altre bibliche amenità. Per fortuna i “ragazzi” sono tornati a casa e hanno allestito un gran bello spettacolo: banchine piene di barche e barche piene di gente….Certo non sono rose e fiori. Certo l’attenzione era tutta sul prezzo e i prezzi sono, in molti casi, decisamente bassi, ma questo significa anche che chi ha cercato di restare agganciato alla realtà e chi ha saputo organizzarsi per tempo facendo prodotti corretti e proporzionati alle reali esigenze dei clienti può ancora sperare.

Il problema è che, per lo più, queste aziende parlano francese o tedesco anche se sono piene di italiani. Non solo architetti, designer o decoratori ma anche tanti manager e fornitori di accessori. Persone, aziende e competenze che in Italia non riescono a lavorare ma che all’estero sanno come sfruttare. La tendenza è così netta che mi viene da pensare che, fra non molto, gli unici che rimarranno a rappresentare il Made in Italy saranno stranieri capaci di sfruttare, pardon:le nostre individualità. Questa è l’amarissima, forse ineluttabile conclusione: dal punto di vista industriale e produttivo in genere noi non siamo un paese, siamo solo degli individui; geniali, intraprendenti, lungimiranti ma totalmente e invariabilmente individui.

Tornando alla vela e al Salone, dalla mia gita a Genova ho avuto la più lampante dimostrazione pratica di quanto sopra detto: tre aziende straniere fanno il mercato utilizzando idee e uomini italiani. Parallelamente le barche più innovative esteticamente e tecnologicamente più avanzate sono italiane ma……sono prodotte da sette, otto costruttori che definire cantiere è eccessivo e che mettono in acqua non più di dieci barche a testa (in molti casi una). E qualcuno parla di globalizzazione ! Mah!?

QUINDI ?

Il Salone di Genova dobbiamo continuare a farlo o ci mettiamo un pietra sopra e ci sparpagliamo per il mondo a far ricco qualcun altro? Chiaramente non ho risposte in tasca ma una certezza me la sono fatta: RESET credo che si dica. Dobbiamo ripensare tutto.

Se c’è una cosa che il nostro strano governo ci ha insegnato è che non c’è più nulla di garantito tranne la fame. E visto che matti lo siamo sempre stati (parlo di quelli che si occupano di barche in Italia), adesso che siamo anche affamati, siamo prontissimi a seguire l’esempio del GRANDE GURU JOBS: ricominciamo rimettendo tutto in discussione.

UCINA deve rassegnarsi a fare harakiri, sapendo che potrebbe essere la sua ultima battaglia, abbandonando mamma Fiera che è un po’ tonta e le ha sempre fatto scappare i fidanzati, ma ogni anno la riempiva di euro.
Le aziende devono globalizzarsi davvero: organizzazione tedesca, arroganza francese, soldi cinesi, progettualità italiana, pragmatismo USA. Sembra una delle tante barzellette da gita scolastica ma è quello che sta succedendo.
Il difficile è non mischiare i ruoli come con le finanziarie che, una volta comprato il giocattolo, si sono messe a progettare barche mentre i maestri d’ascia giocavano in borsa.
E le Fiere, che sono uno “strumento”; un mezzo non un fine, si facciano dove servono e quando servono. L’ho detto per la prima volta nel 1985 appena entrato in UCINA, rischiando di conquistare il record della carriera più corta, che le fiere internazionali dovrebbero essere biennali per permettere alle aziende di ottimizzare gli investimenti. Trent’anni dopo lo penso ancora…….parliamone!
Per concludere vorrei tornare al concetto di sovrabbondanza che, a mio avviso, ha intossicato anche al design della maggior parte delle barche esposte (soprattutto da parte dei cantieri più “strutturati” dove il marketing è uno strumento largamente utilizzato per indirizzare le scelte stilistiche e tipologiche: fiancate riempite di finestrate di fogge e dimensioni diversissime, pulpiti e tientibene che si avvitano su se stessi e che si incrociano e si dipanano nello spazio, pozzetti che sembrano torte nuziali con gradoni e volumi che sembrano disegnati di notte, senza luna, da artisti ubriachi, poppe attrezzate con plancette e scalinate imperiali; tutto pensato per “impressionare” e “distinguersi” e “comunicare abbondanza e ricchezza”.

Siamo sicuri che è ancora questo quello che la gente chiede o non sarà giunto, anche in questo campo, il momento della “sobrietà” e della concretezza, della forma più aderente alla funzione?
Si perché io, che non sono mai stato ne un funzionalista rigoroso (nel senso che considero anche la bellezza e l’armonia funzioni irrinunciabili) ne, tanto meno, un cultore del minimalismo di facciata, credo che anche le barche debbano fare meno cose e le debbano fare meglio. E’ ancora accettabile che per andare a fare una gita al largo si debbano utilizzare migliaia di cavalli o chilometri quadrati di tela che spingono castelli vuoti progettati per fare due giri del mondo e ospitare le nozze del re d’inghilterra ?
E’ vero, anche in altri periodi si sono costruite grandi barche inutili. Si chiamavano J-CLASS ed avevano un’unica funzione: rappresentare la ricchezza e la potenza dei loro armatori. Non le riempivano di sale da pranzo, palestre, idromassaggi, elicotteri, ecc. Erano solo Grandi, Belle, Barche, Veloci e Potenti… E scusate se è poco!

Non lo nego, anche oggi abbiamo esempi analoghi ma sono una minoranza rispetto alle barche e barchette piene di particolari, accessori , volumetrie e forme che, per enfatizzare le infinite potenzialità (utilità) della barca rendono inutile (e a volte pericoloso) uscire in mare.

Arch. Massimo Franchini San Costanzo 16/10/12