Preferite andare in mare o andare in barca?

(Pubblicato su “NAUTICA” di Marzo 2013)

PREFERITE “ANDARE IN MARE”…

pg010_1_00

…O “ANDARE IN BARCA”?

serene_yacht_stern

Sembra la stessa cosa ma è come dire: “mi fanno male le scarpe” anziché: “mi fanno male i piedi”. Con una sostanziale differenza: nel secondo caso è un errore di sintassi, nel primo è una verità sbagliata: nel senso che “veramente” la maggior parte di noi diportisti dà più importanza alla barca (mezzo) che al mare (fine). Forse è venuto il momento di fare cose più “stupide” come cercare di navigare secondo i propri mezzi e le proprie capacità anziché essere “troppo intelligenti” dotandoci di mezzi eccezionali come effettivamente sono le barche da diporto prodotte in Italia. Non credo di esagerare dichiarando che la costruzione di barche di qualità richiede una buona dose di intelligenza umana nelle sue varie forme: fantasia e creatività prima di tutto ma anche grande esperienza, abilità manuali non indifferenti, capacità organizzative, una buona conoscenza e padronanza di moderne tecnologie e, non ultima, la scaltrezza per vendere oggetti quanto mai superflui o come si dice: voluttuari. In buona sostanza, per decenni, noi operatori della nautica ci siamo arrovellati per fare cose stupende che però non sono propriamente “vitali”…In alcuni casi i più bravi fra noi sono stati, a buon diritto, inseriti fra i migliori rappresentanti dell’arte applicata. Per non parlare delle lauree honoris causa giustamente attribuite a più di un imprenditore nautico italiano. Oggi pare che di tutto questo non gliene importi più nulla a nessuno, anzi siamo di nuovo diventati tutti dei farabutti. Nella migliore delle ipotesi: dei visionari dediti ad una specie di gioco d’azzardo o di spaccio di sostanze socialmente dannose come le barche;   Che, fra l’altro, danno assuefazione e costringono i consumatori ad assumere dosi di L.F.T. (Lunghezza fuori Tutto) sempre maggiori…. a prescindere dalle proprie condizioni fisiche e soprattutto dal proprio reddito reale. Credo sia superfluo ricordare come, in perfetto stile “cosca mafiosa”,  il racket internazionale della finanza (fondi, banche, speculatori vari) abbia immesso sul mercato, negli ultimi dieci anni, dosi massicce di leasing “tossico” a prezzi inizialmente popolari per poi far sparire, dalla mattina alla sera, tutta la ”roba” continuando a spacciare solo merce purissima a prezzi irraggiungibili….Quanti di noi sono morti di astinenza ! La domanda sorge spontanea: come abbiamo fatto a cascarci? E più ancora: Cosa possiamo fare per disintossicarci? Come in tutti i percorsi di recupero che si rispettino bisogna innanzi tutto rendersi conto dell’errore e avviarsi con determinazione verso un’altra vita. Chiaramente sarebbe pericoloso interrompere drasticamente il consumo e mettersi tutti in fila sui campi da golf o al dopolavoro ferroviario per la nostra quotidiana partita di bocce. Meglio cominciare riducendo gradatamente le dosi! A parte tutto questo c’è un’altra analogia  fra barche e stupefacenti: Ci sarebbe un grande mercato di consumatori abituali di sostanze/barche decisamente meno pericolose (qualcuno arriva a dire totalmente innocue) che oltre a provocare meno danni alla salute di un buon bicchiere di rosso, esattamente come il vino, aiutano a superare i momenti tristi e a ritrovare un minimo di equilibrio con se stessi e con il mondo che ci circonda. Questa nuova vita che dovrebbe scaturire dal processo di recupero che io auspico, per essere realizzata a pieno, dovrebbe abbandonare il concetto della detenzione per abbracciare quello dell’uso personale e controllato. Uscendo dal gioco delle metafore, io credo che solo se tutti noi che amiamo veramente il mare (che, si badi bene, siamo molti di più di quelli che hanno o hanno avuto “anche” una barca), ci convincessimo che quello che vogliamo è “andare in mare” anziché “andare in barca”, si aprirebbero possibilità interessanti per lo sviluppo del settore in tutti i suoi comparti. Qui di seguito alcuni vantaggi derivanti da questo nuovo approccio: TURISMO NAUTICO. Innanzi tutto sarebbe compiutamente applicato il principio del turismo nautico, inteso come tutte le attività che fanno riferimento al mare per ricavare piacere, svago e relax. Solo all’interno di questo vasto ed articolato mondo, va collocata la nautica ed il diporto. IL FINE AL POSTO DEL MEZZO. Come dicevo sopra è fondamentale, a questo punto, mettere l’accento, una volta per tutte, sul fine (il turismo nautico appunto) anziché sul mezzo: barca. Oggetto stupendo ma limitato e limitante sia dal punto di vista dell’approccio al mare sia per la sostenibilità economica. GIRA PIU’ DENARO E PIU’ IN FRETTA. Il nuovo approccio dovrebbe generare uno “sdoganamento” della nautica e del turismo nautico più in generale che, allargando la platea dei fruitori/consumatori, dovrebbe mettere in moto un giro di denaro molto più dinamico e ampio; seppure caratterizzato da importi singolarmente minori ma, proprio per questo, più intensi e più rapidi. NAUTICA CONTO TERZI: L’ITALIA E’ IL MIGLIOR POSTO DEL MONDO PER USARE UNA BARCA E IL PEGGIORE PER POSSEDERLA. Se gli italiani non possono andare in barca mandiamoci gli altri ma, soprattutto, facciamoli navigare lungo le coste italiane. Si potrà così finalmente capitalizzare l’enorme potenzialità delle coste italiane con i suoi 8000 km. di sviluppo e l’infinita possibilità di sviluppo del turismo storico e ambientale. Fermo restando che l’industria italiana (o meglio l’artigianato) ha espresso livelli di efficienza che, a mio avviso, devono e possono essere recuperati a vantaggio di chi ancora vorrà “rappresentare” se stesso, la sua cultura, il suo stile e, perché no, il suo potere. Se, come oggi, fra questi pochi sono italiani, pazienza. L’importante è che siano i benvenuti se vorranno venire da noi a spendere i loro soldi. Ovvio che questo presuppone una strategia politica che metta il turismo e specificatamente il turismo nautico, al centro delle iniziative di rilancio economico del nostro paese: Troppo semplice? Troppo ovvio? Forse ma credo che sia anche l’unica via. Di seguito alcune tematiche sulle quali puntare per veicolare questa “banale rivoluzione”: Il mare comunica: Il mare è per definizione: un “network”, anzi: il più vasto e antico network esistente. Da sempre è stato veicolo di collegamenti e di scambi commerciali e culturali. La comunicazione dovrà essere totalmente indirizzata a recuperare questo ruolo all’interno di un progetto complessivo di salvaguardia e valorizzazione di questo universo, secondo la logica: conoscere attraverso l’esperienza e rispettare grazie alla conoscenza ! IL mare unisce. Ancora una volta: Il mare è di tutti. Tutti devono avere la possibilità di conoscerlo. Se abbassiamo la “soglia di ingresso” e eliminiamo i pregiudizi e le classificazioni per target di consumatori sicuramente molti più soggetti saranno attratti dal mare e vorranno “frequentarlo”… ognuno secondo le sue possibilità. Il mare insegna: E’ la logica conseguenza di questo processo che va comunque aiutato attraverso specifici programmi a livello scolastico e attraverso i mass-media. IL mare rende: Sono innumerevoli gli studi, (primo fra tutti quello famoso del Censis) che dimostrano quale sia il reale contributo dell’attività nautica alla ricchezza nazionale e sulla ricaduta occupazionale. Analisi autorevoli ampiamente confermate da concrete iniziative recenti, azzerate anch’esse dall’ultima “caccia alle streghe”. Ciò nonostante, una volta depurata la nautica dal teorema: barca=evasione, La spirale virtuosa che si potrebbe innescare nel momento in cui andar per mare non sarà più una prerogativa di pochi (e non sempre: migliori) porterà inevitabilmente alla richiesta di mezzi più razionali e funzionali con l’obiettivo di: ANDARE IN MARE CON SICUREZZA E FACILITA’ SENZA OSTENTAZIONE ED ARROGANZA! Bene. Tutto magnifico! Ma la guerra è ancora in corso e a terra (anzi in acqua) si vedono solo macerie. Quale potrebbe essere il percorso per questa “ricostruzione post-bellica” Da dire è semplice: Dobbiamo riconvertire il notevole parco barche attualmente invenduto (nuovo o usato che sia) e affidarlo, per i prossimi 5/8 anni, a società di gestione e noleggio che lo mettano a disposizione di tutti quelli che, a prezzi abbordabili, vogliono farsi una vacanza in mare. Questi ultimi dovranno essere oggetto di una intensa campagna di sensibilizzazione che metta in risalto la e la <facilità> della vacanza in barca superando gli obsoleti stereotipi del mare per pochi “superuomini” e “superricchi”. Nel frattempo, in questi cinque anni si dovrà avviare un’intensa fase di progettazione di mezzi adatti a questo nuovo modo di andar per mare in maniera tale che, finito “l’ammortamento” o comunque il ciclo di vita dei mezzi attualmente presenti sul mercato, si sia pronti a mettere a disposizione di questa nuova categoria di utenti, una nuova generazione di barche perfettamente rispondenti allo scopo. Questo meccanismo, oltre a recuperare e mettere a reddito il parco barche attuale, storicamente sotto-utilizzato ed economicamente assurdo dal punto di vista della “utilità”, (basta fare un piccolo calcolo del costo per giorno di utilizzo per rendersi conto che non può essere razionalmente sostenuto se non da chi ne deve fare appunto un uso di mera “rappresentanza”), Potrà rivitalizzare la cantieristica italiana evitando di disperdere l’inestimabile patrimonio di competenza e passione accumulato negli anni e nei secoli. Da fare è molto meno semplice: Bisognerà, in un certo senso, pensare ad una pianificazione “socialista” della nautica: cosa ovviamente e semanticamente incolciabile a meno chè, secondo uno schema ampiamente accettato anche dai fautori del “mercato” liberale, non si creino uno o più “cartelli” di investitori che, anche in regime di concorrenza fra loro, possano candidarsi ad acquisire l’invenduto a prezzi di mercato approfittando del fatto che questi ormai sono scesi al di sotto di qualunque soglia di rimuneratività per chi vende. In parallelo bisognerà costituire o potenziare strutture di gestione tecnica, logistica e commerciale capaci di rapportarsi con un nuovo mercato “latente” di utilizzatori piuttosto che di possessori per fornire loro  servizi di alto livello a costi ragionevoli. Infine, quale pre-condizione, Tutto questo dovrà essere accompagnato da una nuova legislazione statale (meglio se armonizzata a livello europeo) che dia un chiaro quadro di riferimento agli operatori economici che vorranno impegnarsi in questa piccola-grande rivoluzione. E naturalmente: COMUNICARE, COMUNICARE, COMUNICARE. Lo so: Sembra semplice invece è un grande progetto molto complesso. …. Ma qualcuno ha un’idea migliore? Arch. Massimo Franchini