Chi se la mangerà tutta questa roba? Riflessioni sul design in tempi di crisi.



PREMESSA:

Qualunque analisi di business, di questi tempi, non può prescindere dalla crisi economica che da ormai quattro anni, sta scompaginando qualsiasi concezione fino ad ora considerata assoluta e incontestabile.
Fra queste ultime c’è sicuramente il concetto di “lusso”.

Stabilito comunque che di nautica di lusso parliamo, se fino ad ora questo termine era normalmente associato ad aggettivi quali: “sfacciato”, “esagerato”, “sfrenato” e simili, oggi dobbiamo dargli altre valenze quali, ad esempio: “durevole” o “ricercato”, se non addirittura abbinarlo con termini apparentemente ad esso considerati (a torto) antitetici come “sobrietà”, “misura”, “discrezione”.

In parallelo sta emergendo, sempre più prepotentemente, un altro concetto che d’ora in poi non potrà più essere trascurato: quello di ; vale a dire “l’utilità” che deve avere anche l’oggetto più voluttuario del mondo come da qualcuno è considerata un’imbarcazione.

Naturalmente andrà attribuito a questo termine un senso molto più ampio della pura meccanicistica rispondenza a una prestazione tecnica (che ci deve assolutamente essere e che non viene più data come scontata) e andrà esteso ad ambiti squisitamente “culturali” quali, ancora una volta, la rappresentazione di uno status piuttosto che la rispondenza ad un bisogno di bellezza e armonia.
Nulla di nuovo quindi sotto il sole ?! In parte sì, se non fosse che questi valori non possono più essere “approssimativi”, “superficiali” o “effimeri” ma dovranno essere riconosciuti come “duraturi” e “certificati” se non addirittura “garantiti”. In una parola il cliente vuole verificare che questi valori e questa utilità esista realmente e non si fida più della “coreografia” e del marketing. Anzi, paradossalmente, un eccesso di “rappresentazione” aggiunge, agli occhi di questo diffidente compratore, un costo inutile che andrà ad abbassare il del prodotto.

Se questa sommaria analisi è condivisibile ne consegue che le barche per il mercato post-crisi dovranno essere decisamente più “concrete” di quelle fin qui prodotte e che, naturalmente, saranno molte di meno; E’ infatti ormai opinione condivisa che i numeri che potrà esprimere il mercato nautico occidentale potranno arrivare al 60/70% di quelli realizzati nel periodo 2000-2008. Quello che forse è meno evidente è che dovranno anche essere diverse fra loro giacché coloro che continueranno a comprare barche saranno solo i clienti più appassionati e quindi preparati; sicuramente non facilmente condizionabili o omologabili come erano la maggior parte dei compratori “glamour victims” che hanno fatto la fortuna delle aziende nate e cresciute durante il boom.

A questo proposito va fatta una precisazione riguardo al termine “Mercato Nautico Occidentale” che ho qui sopra usato. Con questa accezione voglio indicare soltanto gli appassionati di nautica nati e cresciuti nel Vecchio Continente e nel Nord America. Se però consideriamo anche l’afflusso di diportisti provenienti dai paesi emergenti che navigano (parola grossa) in Mediterraneo o lungo le coste del Nord e centro America o nel Mare del Nord (molto meno), probabilmente potremo immaginare un certo recupero di quote di mercato nei prossimi anni, anche se, a mio parere, riguarderanno solo le fasce dimensionali alte o medio-alte.

Se invece vogliamo prendere in considerazione i “nuovi mercati” (Asia, Medio Oriente, Europa dell’est, Sud America, Africa), dovremo immaginare un approccio totalmente diverso che deve considerare la possibilità di imporre a queste nuove categorie di diportisti i modelli formali dell’occidente consumistico che dovranno essere innestati su una base di tradizioni culturali (e quindi estetici) molto particolari e differenti dai nostri.
Certamente queste aree costituiscono uno sbocco commerciale con potenzialità così alte da poter ampiamente compensare il crollo verticale subito dai mercati maturi. Non dimentichiamoci però che la Cina in particolare, si sta preparando, e per certi versi è già pronta, a prodursi in casa quello che gli serve…e anche molto di più.
In questa situazione l’unica opportunità che rimane per gli operatori di questa parte del mondo (e penso soprattutto a noi italiani) è quella di affiancare i nuovi players creando collaborazioni e partnership che ci vedano nel ruolo di “tutor” in grado di trasferire competenza tecnica e stile a chi dispone di mezzi e condizioni economiche per produrre convenientemente.

Per tornare al tema del design, questa lunga digressione per dire che la maggior parte delle barche prodotte fin qui e in parte ancora invendute, potranno avere uno sbocco di mercato solo se indirizzate ai “nuovi ricchi” che, in quanto tali, vogliano emulare lo stile “sfarzoso” dell’epoca del leasing nautico.
Quando però i magazzini saranno finalmente vuoti, io credo che le aziende superstiti dovranno chiarirsi molto bene a chi indirizzare i loro prodotti mettendone a fuoco caratteristiche tecniche e formali già da oggi.
Se saranno interessate ad intercettare i clienti appassionati dell’occidente cosiddetto sviluppato, dovranno riesumare probabilmente tutte le tipologie di imbarcazioni sviluppate dalla fine dell’ottocento ad oggi perché, esattamente come succede nell’edilizia abitativa, per molti di noi non c’è niente di meglio che vivere in uno chalet tradizionale sulle dolomiti o in un cottage sulla spiaggia di Newport, ecc. purché dotato di tutti i comfort e le tecnologie attuali. Quello che non è sensato è fare il contrario. Rispetto ambientale è anche questo: rispettare il genius loci, la storia, le tradizioni del contesto.
Allo stesso modo non vedo nulla di male a desiderare di vivere il mare a bordo di un veliero col sapore e le atmosfere d’inizio secolo.

Questo non significa che auspico un’operazione nostalgia o che dovremmo copiare i modelli del passato affondando tutto quello che abbiamo prodotto negli ultimi cinquant’anni. Anzi, sostengo che il progresso tecnico e le soluzioni formali create durante questo periodo costituiscono un patrimonio inestimabile da valorizzare e riutilizzare.

Quindi, ancora una volta l’augurio è di saper distinguere per ogni tipologia e per ogni periodo storico cosa s’è prodotto di buono e cosa non vale la pena salvaguardare e sviluppare.

Sicuramente la produzione attuale si contraddistingue per due caratteristiche profondamente negative riassumibili in: SOVRABBONDANZA e OMOLOGAZIONE.

La sovrabbondanza cui alludo non è solo la quantità di barche prodotte per un mercato drogato a rapida obsolescenza ma anche quella di stilemi, graficismi e inutili sovrastrutture formali.

Mi spiego meglio: In presenza di una forte richiesta indifferenziata, se un progetto ha successo e si caratterizza per qualche particolare soluzione formale, indipendentemente dai motivi di questo successo e dalle funzioni che a quella forma corrispondono, quella forma o quella soluzione diventano irrinunciabili per qualunque altro concorrente si rivolga allo stesso pubblico…e scatta l’omologazione.
E’ successo con le finestre a goccia, con gli scaloni di poppa, con i roll-bar, con le finestre a scafo, con le poppe aperte dei cruiser a vela, ecc…

Tutto questo, come dicevo all’inizio, non solo non paga più ma rende sospetto il prodotto inducendo nel cliente la convinzione che sotto questa orgia di volumi, svolazzi, pinne, modanature, ecc. si voglia nascondere la mancanza di qualità e di sostanza. Inoltre: sono forme che stancano rapidamente (era uno dei motivi per cui sono nate: stimolare il cambiamento.) e infine sono molto “appariscenti”; altra caratteristica abbondantemente passata di moda.

Allora, se questo è quello che non bisogna fare, qual è l’alternativa?

Ribadisco innanzitutto che non esiste un’unica barca o un’unica tipologia di barca corretta ancor di più oggi che i clienti non sono più “categorie” o “target” ma “individui”. O perlomeno, questo è sicuramente vero in Italia dove le recenti politiche governative hanno definitivamente azzerato la nautica di medio livello indirizzata al ceto medio (in via d’estinzione anch’esso). Invece negli altri paesi industrializzati, dove questo target esiste ancora, il prezzo diventa la discriminante principale e fa si che, chi vuole navigare spendendo relativamente poco, deve accettare compromessi e, come nelle auto, adattarsi ad avere prodotti corretti ma ottimizzati, anche dal punto di vista del design, rispetto alle esigenze ferree della produzione industriale.

Questo non significa affatto che i risultati debbano essere necessariamente inferiori…anzi: spesso è in questo campo che il design trova le sue espressioni più alte. A questo proposito vale forse la pena di ricordare che il termine abusatissimo di nasce dalla contrazione di e che la produzione industriale dovrebbe essere appunto l’unico campo di applicazione del design. Il resto è architettura! Civile per l’edilizia e navale per la nautica.
Tant’è: così ormai non è da tempo e “i designers” si occupano soprattutto di grandi imbarcazioni destinate a piccole nicchie se non addirittura a singoli armatori.

Queste due tipologie di utenti, esperti ed evoluti, non pensano alla barca in termini “ideologici” ma sono più interessati alla navigazione e alla vita in mare in quanto tale e ricercano in una barca le sensazioni e le atmosfere tipiche dell’ambiente e dell’attività marinara che li facciano sentire a loro agio sia in mezzo all’oceano sia sulla banchina del loro yacht club. Non chiedono quindi di possedere un “mostro” da esibire nelle fiere ma il “mezzo” marino corretto, serio, sano, proporzionato, armonioso…in una parola: “giusto”. Che poi sia spinto solo dalle eliche, anche dal vento o dall’uno e dell’altro a seconda delle condizioni non lo considerano affatto scandaloso così come ritengono normale andare a teatro in smoking e alla partita in jeans; Spesso questi armatori possiedono più barche di tipo diverso e in posti diversi…alla faccia della crisi. Una cosa però è sicura: non comprano barche brutte.

Tornando infine ai nuovi mercati sarà molto interessante verificare fino a che punto il gusto occidentale e più specificatamente l’italian style, sarà in grado di contaminare la cultura estetica di questi popoli che, ultimi arrivati sul mercato nautico internazionale, dopo un primo periodo di emulazione e di assimilazione di standard estetici altrui probabilmente cominceranno a richiedere un approccio più vicino alle loro radici. Io credo che solo se sapremo fondere e integrare le differenti sensibilità potremo mantenere la leadership mondiale della qualità della vita e della bellezza che sono e restano il nostro vero: “prodotto interno…netto”

Arch. Massimo Franchini San Costanzo 28/10/2012