La bella barca

Articolo scritto per “BARCHE” Agosto 2009

Caro Franco, questa volta l’hai fatta proprio grossa: sei ricaduto nel vecchio vizio di parlare a costo di dire la verità.
Il problema però non è questo, anche perché tu questo vizio non l’hai mai perso.
Il problema è che tu hai detto una tua verità, molto soggettiva e per questo, forse, ancora più dirompente: tu hai serenamente affermato che l’OCEAN EMERALD; la barca progettata da sir Norman Foster non ti piace. Non hai criticato il progetto, non hai detto che è brutta.. Hai detto quello che ne pensavi tu lasciando agli altri (in primis all’armatore che l’ha ordinata e suppongo pagata) il diritto di pensarla diversamente.
Detta così, come dite voi giornalisti “non c’è notizia”. Invece a mio parere c’è eccome.
Intanto perché tu sei un direttore di una rivista nautica che vive di pubblicità, compresa, immagino, quella del cantiere costruttore della barca in questione e non è normale nel tuo ambiente criticare i “clienti”. Poi perché, trattandosi del lavoro di un’Archistar indiscussa, sei andato contro il conformismo dilagante che delega ai “guru” la decisione su quello che è bello e che non lo è (per la verità i termini usati in genere sono trendy, alla moda, giusto, corretto, figo, ecc…) in quanto del bello ultimamente non pare che gliene freghi nulla a nessuno e, soprattutto, si è perso un “codice” comune per discernere il bello dal brutto come se, questa sensibilità fosse una faccenda da specialisti ed addetti al lavoro
Detto questo devo però rilevare che nelle tue poche righe hai dato anche qualche spiegazione del tuo secco giudizio negativo; hai detto che la barca di Foster “… ispira inquietudine, disagio e apprensione…” e poi hai parlato della necessità di trovare equilibrio ed esprimere la complessità dell’oggetto barca.
Tu sai che in passato abbiamo avuto discussioni e alcuni aspri confronti di idee; Bè questa volta sono completamente d’accordo con te. Anche a me la barca di Foster non piace ed anche a me trasmette gli stessi sentimenti negativi.

Partendo da questi spunti e su tua sollecitazione vorrei, a questo punto, provare ad esprimere un mio modesto parere sulle tendenze del design nautico.
Innanzitutto vorrei sottolineare che, per dare un giudizio corretto sul lavoro di qualunque progettista, bisogna conoscere le specifiche (credo che si dica breef) imposte dal committente: Per assurdo se il cliente avesse chiesto a Foster una barca inquietante questi avrebbe svolto magnificamente il suo lavoro. In questo caso, immagino che, come nella maggioranza dei casi in cui il cliente si rivolge ad un “guru” dell’architettura, le richieste più comuni sono quella di “fare qualcosa di diverso” o di stupire o, nella migliore delle ipotesi, “di innovare”. Se così fosse ribadisco che, a prima vista, l’operazione è riuscita perfettamente.
Ma se analizziamo un po’ più a fondo questo aspetto, ci rendiamo conto che, anche se è vero che rispetto agli stilemi classici (concetto che uso per convenzione ma che ritengo quasi privo di significato) l’OCEAN EMERALD poco ci azzecca. Questo non significa che sia qualcosa di assolutamente nuovo. Semplicemente sono diversi i modelli formali utilizzati.
Per essere chiari, Foster ha utilizzato dei riferimenti estetici (e funzionali) edilizi anziché nautici. Esattamente come Philiph Stark si è riferito a forme militari ancora più specializzate nel progetto del…………………..  e così come gli stilisti delle case automobilistiche usano modelli antropomorfi per i “musi “ delle loro auto per conferire loro carattere e personalità umane; simpatia, autorevolezza, aggressività, ecc… In buona sostanza cercano di dare riconoscibilità a prodotti sostanzialmente omogenei usando trucchi formali che, secondo me,  poco hanno a che vedere col design.
Tornando al ragionamento iniziale sulla  responsabilità del progettista la questione si potrebbe mettere anche in questi termini; Sono i committenti che, per mancanza di cultura, buon gusto, educazione estetica, equilibrio, ecc. impongono agli architetti temi sbagliati e questi asetticamente eseguono, o è il super-ego di questi ultimi che, lasciati liberi di dare sfogo alla loro arroganza e adeguatamente ricompensati creano totem autoreferenziali ?
La risposta non è facile e, sicuramente non è univoca. La verità come sempre è complessa e si colloca in qualche punto intermedio di questi due estremi. Però una cosa è sicura e corrisponde ad un altro luogo comune ampiamente conosciuto nelle facoltà di architettura; “gli errori dei medici vanno sotto terra quelli degli architetti svettano per decenni sotto il sole”. e, nel nostro caso; solcano i mari e vanno ad ormeggiarsi nei più suggestivi, romantici e delicati ambienti naturali del pianeta. L’OCEAN EMERALD nasce come capriccio di qualcuno che se lo può legittimamente permettere ma, dopo aver invaso le copertine delle riviste nautiche, occuperà per i prossimi anni questi incomparabili scenari con le sue volumetrie edilizie angosciando, come giustamente sostiene Michienzi, gli amanti del mare e della natura.
Premesso che il fenomeno dei mega e Ciga-yachts lo ritengo una sorta di “rinascimento nautico” e nessuno, io per primo, vuole limitarlo o ridurlo e che, a prescindere dal risultato estetico, questi mezzi navali sono il frutto del lavoro di migliaia di operai, tecnici, imprenditori, ecc.. dotati di abilità e competenze uniche, pongo l’unico problema di farli più belli possibile e soprattutto, meno “effimeri” e più compatibili con l’ambiente in cui navigano. A questo unico scopo vorrei concludere questa mia sconclusionata analisi, lanciando una provocazione ai miei colleghi (chiedo scusa a sir Foster per essermi per un attimo messo al suo livello) ed alla loro cultura nautica e sensibilità estetica:
Perché non pensiamo ad una procedura di V.I.A.(valutazione impatto ambientale) che, oltre agli ormai consolidati parametri di rispetto ambientale fisici (rumore, immissione inquinanti ecc) tenga conto anche dell’impatto visivo della barca che stiamo progettando rispetto ad alcune specifiche situazioni ambientali quali, per rimanere in Italia; Portofino, Cala Gonone, Lavezzi, ecc…per verificare se e come si armonizza col paesaggio. In fondo anche questo è inquinamento con l’aggravante che al brutto ci si abitua. Il cattivo gusto dà assuefazione.
In fondo se in Italia è così generalizzato il gusto del bello è perché ci viviamo in mezzo, lo respiriamo, lo tocchiamo e, in questo modo lo abbiamo affinato nei secoli con un processo lento e complesso di evoluzione per successive approssimazioni. Al contrario ci vuole molto meno per abituarsi al brutto…soprattutto quando è costoso e diffuso e magari lo si chiama LUSSO!